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La tragica notizia del ragazzo quindicenne che si è gettato dal balcone di casa, dopo aver appreso della sentenza che lo condannava a 4 mesi di “reclusione” presso una comunità di recupero, è quasi passata inosservata se escludiamo la stampa locale, i vari blogs antiproibizionisti in rete e il piccolo articolo pubblicato da “la Repubblica” ma solo nell’inserto diffuso a livello regionale:
http://milano.repubblica.it/cronaca/2012/06/09/news bergamo_15enne_si_lancia_dal_balcone_per_non_andare_in_comunit_di_recupero-36888571/

Eppure, non vengono lesinate le scene drammatiche nelle nostre TV e ci sembra che la fame di notizie raccapriccianti, siano ambite dai giornalisti di cronaca nello stesso modo in cui Dracula andrebbe a caccia di sangue, eppure questa storia è stata “snobbata”, in fin dei conti di “droga” e di “drogati” si parla e oltretutto di un quindicenne “già traviato”, che invece della compassione, esercita un deprecabile giudizio nella convenzione sociale.

Decidere di morire per non dover subire una ulteriore vergogna, oltre quella di essere accusato di micro-criminalità davanti ai suoi genitori e per non dover sopportare ingiustamente la privazione della libertà, che è sempre preziosa, ma a 15 anni è addirittura indispensabile per poter iniziare a sperimentare la vita, dovrebbe invece far riflettere sullo stato del rapporto nelle famiglie, su quello tra minori e Stato e su quello tra Stato e Stato di Diritto.

Se noi andiamo ad analizzare il corpo del reato è sicuramente esagerato, 78 piante sono difficilmente difendibili nell’uso personale, ma parlando di un ragazzo di 15 anni possiamo solo dedurre che abbia esagerato nella sua voglia di trasgressione e che magari avrà immaginato di poter soddisfare anche la curiosità dei suoi amici, di certo, nei panni di un pericoloso spacciatore non riusciamo proprio a vederlo.

E così deve essere stato anche per il Giudice, che saggiamente gli ha evitato il riformatorio, ma che altrettanto stupidamente ha pensato che una punizione dissuasiva tramite l’obbligo di frequentazione di una Comunità, il ragazzo se la meritava tutta!

Sinceramente non so se la psicologia rientri tra le materie da studiare nella facoltà di Giurisprudenza, ma se così non fosse bisognerebbe renderla obbligatoria e assicurarsi che chiunque sia chiamato a decidere del destino degli altri, ne conosca profondamente il senso e gli strumenti per applicarla.

Il Giudice avrebbe dovuto comprendere la “ragazzata”, l’”esagerazione degli adolescenti”, che già la perquisizione in casa dei genitori e la mortificazione che aveva creato in famiglia sarebbero forse potuti essere sufficienti, avrebbe potuto analizzare maggiormente la “qualità” della famiglia ed ammonire sia il ragazzo e sia i genitori per un maggior controllo, ma invece ha scelto una via che a lui sembrava “saggia”, ma che saggia non era, visto che non era riuscito a comprendere la sensibilità del giovane.

Vorremmo dire di più, avrebbe forse dovuto apprezzare il fatto che il ragazzino non si servisse dell’usuale mercato criminale che spaccia in ogni angolo di ogni piazza d’Italia e avrebbe potuto rallegrarsi del fatto che i quel campo non c’erano né eroina e né cocaina, come invece ci sono in ogni angolo di ogni piazza d’Italia, e avrebbe potuto chiudere la vicenda con un semplice “cartellino giallo”, valutando che forse il ragazzo aveva solo “giocato a fare il ribelle”!

Ma oggi la tendenza in atto nei confronti di chiunque abbia a che fare con la cannabis sta mutando e l’episodio del giovane bergamasco rientra nella nuova logica, quella di trasformare pian piano il consumatore di cannabis, da criminale a malato, indipendentemente dall’età, dalla professione e dalle qualità dell’individuo, e nonostante siano molti gli operatori di Comunità ad affermare che nei confronti della cannabis non esiste terapia perché non esiste assuefazione!

Ci auguriamo che il giovane possa riprendersi e che nel tempo possa addirittura riassorbire il trauma psicologico che questa storia ha innescato sia in lui che nei suoi genitori e a questi ultimi volgiamo solo esprimere la nostra vicinanza per aver dovuto subire una tragedia evitabile dal semplice Buon Senso!

Ma i firmatari di questa legge infame che provoca drammi e tragedie in continuazione, ce l’hanno una parvenza di coscienza?

Loro che si reputano “cristiani” e “cattolici”, sanno che cosa è la compassione?

Riescono a provare vergogna per quanto hanno fato di fronte a queste tragedie?

Ma oltre alla vergogna che dovrebbero provare questi due illuminati legislatori, che dire del senso del ridicolo a cui si espone il DPA con articoli come: “Marijuana: consumatori a rischio di suicidio”

…peccato che il suicidio o tentativo di esso non venga causato dalla pericolosità della marijuana, ma da quella ancora più dannosa delle politiche del DPA e dalla legge che le ispira!

Giancarlo Cecconi – ASCIA

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Un italiano, un americano, un inglese, un russo e una svedese erano seduti intorno a un tavolo …sembrerebbe l’inizio di una barzelletta dove di solito sono tutti idioti eccetto uno e a seconda del Paese dove la barzelletta viene raccontata “l’intelligente” è sempre di quel Paese a scapito degli altri.

Questa volta invece di “intelligenti”, seduti intorno a quel tavolo, non ce n’erano e mentre il russo, durante una pausa dei lavori, decantava la bontà della vodka, l’americano controbatteva per elogiare quella del whisky, quando poi l’inglese intervenne per tessere le lodi del brandy, la signora svedese si sentì in dovere di esaltare la qualità della birra scandinava e per ultimo anche l’italiano si sentì obbligato nel riaffermare l’indubbio gusto dei vini prodotti nel suo Paese!

Ma la pausa durò pochi minuti, dopodiché i solerti rappresentanti delle nazioni citate si sedettero di nuovo intorno al tavolo e ripresero a discutere del tema che a loro era tanto caro: la salute dei loro popoli!

Che l’alcol fosse la prima causa di dipendenza e morte tra i consumatori di sostanze psicoattive forse è sfuggito alla “commissione” e che i vari servizi sanitari fossero impegnati in centinaia di migliaia di casi di dipendenza non rientrò nei loro argomenti, ma tutti furono concordi nell’affermare che la ‘marijuana’ è sicuramente tra le droghe più pericolose in circolazione e che la sua legalizzazione non sarebbe mai avvenuta nei Paesi che rappresentavano!

Da parte nostra è come se non fosse successo niente, dall’ottusità eravamo governati e dall’ottusità lo siamo ancora, quello che ci conforta è che solo 5 nazioni sono rimaste arroccate su posizioni intransigenti e l’arrocco non può durare in eterno.

Ah, tanto per concludere: alla fine della riunione almeno 3 dei 5 delegati, appena usciti dalla sala, si sono accesi una sigaretta …alla faccia dei servizi sanitari e della salute dei loro popoli!

http://politicheantidroga.it/comunicazione/comunicati/2012/maggio/svezia,-russia,-usa,-regno-unito-e-italia-siglano-dichiarazione-internazionale-congiunta-contro-la-legalizzazione-delle-droghe.aspx

Giancarlo Cecconi – ASCIA

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E’ solo di alcuni giorni fa la clamorosa dichiarazione dell’on. Fini sulla necessità di depenalizzare i reati minori per permettere uno svuotamento consistente delle carceri:

(ANSA) – Roma 18 maggio – Carceri: Fini, è ora di depenalizzare.

Per il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ”e’ arrivato il momento di depenalizzare e adottare misure alternative al carcere, come in altri Paesi, tenendo conto che lo scopo della pena e’ la riabilitazione”.

Fini e’ intervenuto al Meeting dei Giovani a Pompei su invito dell’arcivescovo monsignor Carlo Liberati.

Dopo aver procurato a migliaia di cittadini italiani, con la collaborazione del suo collega Giovanardi, innumerevoli e devastanti conseguenze a causa della legge da lui presentata nel gennaio 2006, oggi il sensibile uomo politico, di fronte allo scempio da lui stesso creato, versa ingiustificate lacrime di coccodrillo e addirittura invoca pietà e umanità nei trattamenti provocati dalla legge più liberticida mai apparsa in uno Stato moderno!

Ma forse ci sbagliamo, Fini non ha neanche pensato alla depenalizzazione della coltivazione domestica di cannabis, (la cui penalizzazione invece è causa principale dell’affollamento carcerario, come affermato ultimamente anche dall’on. Papa), piuttosto si sarà preoccupato di dire qualcosa per far evitare il carcere, in futuro, a coloro che non ottemperano alle norme sulla sicurezza sul lavoro o a quelle persone che degli illeciti amministrativi ne fanno un arte per arricchirsi indebitamente!

Ma indipendentemente dal facile sarcasmo a cui si prestano queste altrettanto facili dichiarazioni, l’on. Fini farebbe bene a porsi delle domande circa la confusione che ha generato non solo nell’opinione pubblica, ma anche e soprattutto nella Magistratura, che su questo tema si è sempre espressa in maniera controversa e contraddittoria.

Dopo il varo della legge (approvata insieme al Decreto per le Olimpiadi Invernali di Torino: ma che c’azzecca? direbbe Di Pietro!), la Corte di Cassazione in più riprese si è così espressa:

- Nel 2007: Sezione VI Penale, con sentenza 18 gennaio, sancisce che non è reato coltivare nel giardino di casa qualche piantina di marijuana perché ciò equivale alla detenzione per uso personale.

- Di parere opposto la sentenza datata 10 gennaio 2008, in cui la Corte di Cassazione sancisce invece che la coltivazione, sul balcone di casa, anche di una sola piantina di marijuana, indipendentemente dalle sue caratteristiche droganti è penalmente perseguibile.

- Invece, a sezioni unite con sentenza 24 aprile-10 luglio 2008, n. 286, ha stabilito che è vietata qualunque forma di coltivazione delle piante stupefacenti indicate nella tabella I – non necessariamente connotata (poiché la legge non lo prevede) da aspetti di imprenditorialità ovvero dalle caratteristiche proprie della coltivazione “tecnico-agraria”); si pone comunque il problema della offensività della condotta.

- Ed infine, nel giugno 2011 la corte di Cassazione ha stabilito che coltivare una piantina di marijuana in casa può essere lecito, trattandosi di “un reato che non procura danni alla salute pubblica”. Secondo la suprema corte la coltivazione di una sola pianta di canapa indiana infatti “non è idonea a porre in pericolo il bene della salute pubblica o della sicurezza pubblica”. A seguito di ciò è stato bocciato il ricorso della Procura di Catanzaro che chiedeva la condanna di un giovane per avere coltivato sul balcone di casa una piantina di cannabis.

Ora …errare è sicuramente umano, ma se il presidente Fini, nella sua dichiarazione, non avesse contemplato la depenalizzazione dei reati minori connessi all’uso di cannabis e volesse perseverare nel non voler riconoscere di aver fatto una coglionata nel 2006, beh …questo è sicuramente diabolico!

Giancarlo Cecconi – ASCIA

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Adamo era semplicemente un essere umano e questo spiega tutto. Non voleva la mela per amore della mela. La voleva soltanto perché era proibita. Lo sbaglio fu di non proibirgli il serpente, perché allora avrebbe mangiato il serpente.” (Mark Twain – Scrittore, Filosofo del secolo scorso).

E’ opinione comune che il proibizionismo ha come fine quello di far sradicare le ‘droghe’ dalla società, e vietandone la vendita, l’acquisto, la produzione e la detenzione, e infliggendo sanzioni per il semplice uso, si pensa che questi metodi possano funzionare da deterrente per una diminuzione dei consumi.

La storia ha dimostrato che niente è più falsa di questa credenza, ed infatti da quando esiste il proibizionismo sulle droghe, fatto relativamente recente, il suo uso non ha fatto che aumentare rispetto a quando tali sostanze non erano vietate. Anzi analizzando anche la sociologia, la psicologia e nonché la cultura popolare si può dimostrare senza ombra di dubbio, che il proibizionismo sortisca un effetto esattamente opposto.

Già nella Roma del 40 a.C., il poeta romano Publio Ovidio Nasone scriveva “Nitimur in vetitum semper cupimusque negata”: Tendiamo sempre a ciò che è vietato e bramiamo ciò che ci viene negato.

Per i “sovrani” di qualsiasi epoca il desiderio di avere un popolo apparentemente ‘virtuoso’ e realmente sottomesso è viscerale e per tramutare il desiderio in fatti concreti, fin dai “tempi del Paradiso Terrestre” furono introdotti dei divieti, anche senza senso, ma ben sapendo che questi divieti sarebbero stati violati, la paura e la minaccia scattano automaticamente, giustificando in tal modo la forza del Potere verso i criminali inventati per l’occasione … partendo dai poveri Adamo ed Eva!

Niente di più semplice, per sottomettere al proprio controllo un popolo e chi mal sopporta i divieti inutili, che continuare a proibire usi e costumi non convenzionali al Potere stesso: “Il proibire una moltitudine di azioni indifferenti non è prevenire i delitti che ne possono nascere, ma esso è un crearne dei nuovi”, scriveva infatti Cesare Beccaria, nel famoso Dei delitti e delle pene, “Le cose vietate fan crescerne la voglia”, diceva Luigi Alamanni nel XVI secolo, e visto che le cose non sono mai cambiate nei comportamenti umani circa i divieti, da quando è stato posto il divieto della cannabis nel 1937 negli USA, il suo uso non ha fatto che aumentare nonostante gli Stati Uniti continuino ad essere il Paese più proibizionista e contemporaneamente il maggiore al mondo, come percentuale di ‘adepti’, per consumo della sostanza.

L’Italia in base ai dati dell’ Emcdda (Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze), diffusi qualche giorno fa, nell’ultimo anno ha raggiunto il primo posto per consumo di cannabis in Europa: “L’Emcdda ha preso in esame la popolazione compresa nella fascia che va dai 15 ai 64 anni ed ha rilevato che l’Italia ha la medaglia d’oro in Europa per consumo di cannabis nell’ultimo anno (14,3%)”.

Sono quindi poco credibili (per non dire assolutamente inconsistenti) gli annunci ‘trionfanti’ di Giovanardi sulla diminuzione dei consumi, che non possiamo non definire “l’ennesima bugia” per giustificare le attuali politiche esageratamente proibizioniste.

Secondo alcune stime, ci sono in Italia circa 5 milioni di consumatori di cannabis, che secondo alcuni calcoli arriveranno a 12 milioni nei prossimi anni, ma comunque sia, queste cifre danno l’ampiezza del fenomeno a dimostrazione ed evidenza di una parte della società che esiste e che può e che deve reclamare i suoi diritti alla libera scelta e per la tanto sacralizzata “privacy”.

Fare propaganda sull’uguaglianza fra tutte le sostanze come hanno fatto Giovanardi e il DPA con la cannabis e l’eroina, non ha fatto che far crescere la curiosità verso le sostanze ritenute più ‘trasgressive’ ma notevolmente più pericolose, e da quando è stata introdotta questa comparazione è aumentato infatti il consumo di eroina.

Da questo punto di vista che riteniamo ‘pericoloso’, l’iniziativa del Dipartimento Politiche Antidroga, che ha avviato un programma ‘educativo’ che dovrebbe, già dalle scuole elementari, educare (incuriosire) sui danni (effetti) delle sostanze stupefacenti, non fa altro che stimolare la curiosità di bambini inconsapevoli, con tutte le dannose conseguenze che possono provocare la paura e le minacce senza un’adeguata informazione ed educazione sull’uso e sull’abuso.

Consideriamo ora anche l’enfasi che pongono i media sulla lotta alla droga, elencando giorno per giorno le ‘incredibili’ operazioni delle forze dell’ordine che il più delle volte finiscono per acciuffare piccoli spacciatori o ancor peggio dei semplici consumatori che detengono una quantità di poco superiore a quella consentita e increduli continuiamo a constatare che nessun giornalista degno di questo appellativo si ponga il quesito se e che cosa possono risolvere, se non anzi danneggiare, queste operazioni?

La droga, qualunque essa sia, è il bene di più facile reperibilità, si trova in ogni luogo, in qualsiasi ora, e viene offerta a tutti indifferentemente dall’età, e quindi, se le droghe, tutte, rappresentano un pericolo per i minori, che senso ha far rimanere il fenomeno nel monopolio del mercato illecito senza controllo, vista l’ampiezza di tale mercato?

Oltretutto è evidente di come le operazioni si riducano a poca cosa nel reale contrasto della diffusione, pur provocando migliaia di inutili carcerazioni ogni anno, ed anche quando i sequestri riguardano notevoli quantità, anche di droghe pesanti, non ‘impensieriscono’ in alcun modo il ‘mercato’ degli stupefacenti ‘appaltato’ alla criminalità organizzata, che anzi attraverso la commistione dei mercati possono essere disponibili contemporaneamente nella medesima piazza con il massimo profitto e il minimo rischio d’impresa, senza rendersi conto che con gli attuali sistemi, arrestando qualche sfortunato che incappa nelle maglie della legge, è come se volessero evitare che un terreno grande 10 ettari, si bagnasse dalla pioggia utilizzando un ombrello.

Citando Winston Churchill: “Se due persone fumano sotto il cartello “divieto di fumare” gli fai la multa, se venti persone fumano sotto il cartello “divieto di fumare” chiedi loro di spostarsi, se duecento persone fumano sotto il cartello “divieto di fumare” togli il cartello”……. e noi quel cartello glielo faremo togliere!

Vi lasciamo con un serie di proverbi della cultura popolare:

“I frutti proibiti sono i più dolci.”

“In mare vietato volentieri si pesca.”

“L’aceto rubato è più dolce del latte comprato.”

“Cosa vietata è più desiderata.”

“Più da noi è bramato quel che più ci vien negato.”

“Quel che è lecito dispiace, e quel che è vietato piace.”

Davide Corda – ASCIA

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Qualche giorno fa una delegazione composta da varie associazioni che si occupano di politiche sulle droghe e del recupero dei tossicodipendenti (Cnca, Itaca, Antigone, Forum Droghe, Gruppo Abele, Fuoriluogo) ha incontrato Andrea Riccardi, ministro della Cooperazione Internazionale e dell’Integrazione, con delega alla lotta alle tossicodipendenze.

Riccardi, con cui abbiamo chiesto un incontro anche noi qualche mese fa, ‘finalmente’ si è espresso anche per parlare di ‘problematiche’ attinenti l’uso delle sostanze stupefacenti.

A quanto riferito sul sito fuoriluogo, nell’incontro la delegazione “si e’ soffermata tra l’altro sul problema dei consumatori, spesso piccoli spacciatori, che finiscono in carcere e ha illustrato al ministro una proposta di legge, che e’ gia’ stata presentata alla Camera e al Senato, che intende ‘alleggerire’ il reato di detenzione di piccole quantita’ di droga, portando la pena, attualmente fino a 6 anni di carcere, a un massimo di tre anni, in modo da poter usufruire maggiormente delle misure alternative al carcere” http://www.fuoriluogo.it/sito/home/mappamondo/europa/italia/rassegna_stampa/riccardi-incontra-il-cartello-senza-serpelloni

Nonostante l’incontro sia stato positivo, riteniamo che almeno da parte di chi punta ad una discontinuità con le politiche attuate fino ad ora, avremo voluto che si fosse evidenziato che se non si effettua una distinzione sostanziale tra le politiche per la regolamentazione della canapa e derivati e le altre sostanze non si risolve il problema, ricondurre qualsiasi uso di sostanze nell’ambito di un unica tipologia di comportamento (tossicodipendenza) è oltre che disdicevole, alquanto dannoso.

Bisogna stare attenti in questo frangente, all’eventuale idea di tramutare il carcere in un ‘programma terapeutico obbligato’ presso eventuali centri di recupero anche per i consumatori di cannabis, il rischio e la ‘trasformazione’ da criminale a malato, che per la cannabis oltre che non attinente ed inutile è innanzitutto disastroso per l’individuo. Ciò anche per scongiurare l’eventuale business che potrebbe nascere dalla gestione di questi centri, sulla pelle di chi non ha bisogno di nessun trattamento di disintossicazione ‘forzata’.

Sarebbe stato doveroso in questa occasione di incontro, far notare le falle della Legge Fini-Giovanardi, che rispetto alla precedente normativa ha tolto qualsiasi distinzione logica tra sostanze diverse tra loro come uso e come problematiche associate, ed ha relegato alla discrezione del giudice o delle forze dell’ordine stabilire se il comportamento rientra nell’uso personale oppure nello spaccio, andando contro il referendum del 1993 che aveva tolto dalla legge il riferimento alla dose media giornaliera poi rimpiazzata da, una non diversa, dose massima consentita.

Sarebbe stato interessante anche illustare al ministro la proposta di legge presentata dai senatori Della Seta e Ferrante (“Norme per la legalizzazione dei derivati della cannabis indica”), che oramai conta la firma, oltre che dei propositori, anche di una decina di senatori. http://www.senato.it/leg/16/BGT/Schede/Ddliter/37685.htm

A tal proposito si è espresso anche il deputato del Pdl Alfonso Papa, che ha assunto posizioni marcatamente antiproibizioniste dopo aver visto da ‘ospite’ per qualche mese la situazione delle carceri con i propri occhi: “Per passare dalle parole ai fatti, però, occorre ora che il Ministro ponga al governo e, in particolare, al collega Guardasigilli la necessità improrogabile di realizzare un vasto programma di depenalizzazione che parta proprio dai reati legati alle droghe leggere. La legge Fini – Giovanardi è una legge ottusamente proibizionista, che ha fatto più male che bene. Oltre un terzo dei detenuti, sono ristretti in galera per via di questa legge che equipara droghe pesanti e droghe leggere, spacciatore e consumatore. Si tratta di un reato senza vittima inventato al fine di spandere terrore; un reato artificiale che, come ogni legge proibizionista, ha l’unico effetto di alimentare mercato nero, criminalità organizzata e consumo fuori controllo”.

Ma probabilmente l’incontro volto innanzitutto a trattare le problematiche della tossicodipendenza da sostanze pesanti, ha voluto rimandare ad un altro momento una discussione più pragmatica sulla normalizzazione della canapa, sperando che ci sia la possibilità che vengano invitate anche le associazioni che si occupano di sensibilizzare sull’urgenza di regolamentare la cannabis.

Per i consumatori di cannabis essere definiti ‘meno criminali’ non cambia che di una ‘virgola’ il problema, come questa proposta di ridurre la pena nell’ambito della condanna di lieve entità da 6 a 3 anni…… ma noi lo ribadiamo ora e sempre: ‘non siamo criminali’, nemmeno a metà e tutto quello che vogliamo è togliere di mezzo una legge che ci ha reso tali!

Davide Corda – ASCIA

Pubblicato anche su: http://www.legalizziamolacanapa.org/?p=3883